È nel concetto di “Rammendo”, adottato da Renzo Piano per progettare interventi di riequilibrio di insediamenti di scala metropolitana  che oggi si potrebbe indicare il fenomeno fisico della resilienza: la ricerca di un nuovo stabilizzato equilibrio che intervenute vicende avevano invece, nel tempo, sempre più incisivamente posto in crisi. Pensando all’Italia, viene così in mente un recente episodio definibile come “ sintomo medico”: un segnale della ricerca di difesa di un organismo (l’insediamento urbano) dall’alienazione in esso intervenuta.  Vale a dire la comparsa, e proprio nelle aree più sociologicamente in crisi, dei “murales”: forma e modalità pittorica ( non a caso detta “street art”: del resto ci avevano già pensato, però in chiave elitaria, gli architetti del tardo rinascimento con i “graffiti”) che grandi artisti sudamericani (per esempio Diego de Rivera) della metà del secolo scorso avevano proposto in una generalizzata chiava rivoluzionaria.  Ma che invece in Italia, finora, si è tradotta in ricerca di aggiuntivo,  identitario  valore “ artistico- comunicativo” di un immaginario che corrisponde (e ne parla) ad un auspicato “stile di vita” spesso anche associato alla diffusa presenza del verde. Che è, però, solo una sorta di pausa  nel flusso dello scorrere del “ vissuto quotidiano” di un sistema insediativo a scala urbana. Compare qui, dunque, il ruolo del progettista degli interventi di “rammendo”: figura che non operi dall’ alto, ma la cui progettazione proponga una realtà futura innovante non solo perché sia quella del diverso e dell’altrove, ma proprio perché invece finalizzata al concetto di resilienza: alla riscoperta di valori da poter dunque anche essere inseriti in cicli di recupero dell’esistente invece attualmente conculcato. Per fortuna la figura di questo tipo di “ progettista” non ci è del tutto sconosciuta: nel secolo passato ne abbiamo già avuto taluni esempi. Basti riflettere ( naturalmente mutatis mutandis) al rapporto tra la “Olivetti” e la città di Ivrea, o tra la Volkswagen e la città di Wolsfburg. Tali realtà sono  ben altro da quella delle città solo malamente turistizzate  e per le quali basta anche un breve “lockdown” per metterne in crisi ogni loro “ rammendo”: perché se quel “rammendo” non è attentamente valutato in tutte le sue premesse e conclusioni, vale sempre il famoso proverbio veneto: “Xe pegio el tacòn del buso!”.



“Jr ha la capacità di trasformare gli spazi fisici ed esistenziali, di rendere i limiti territoriali terreni di confraternità. Le sue immagini di volti di donne e anziani sono diventate un punto di riferimento geografico e culturale in tutto il mondo. Viaggio fisico di ogni immagine e la ricerca di una voce comune. La partecipazione attiva degli spettatori nella composizione dei collage fotografici, segna la distanza fra l’atto creativo di JR e l’anonimato della street art. Il coinvolgimento degli abitanti dei quartieri ne trasforma i paesaggi umani.”
Laura Aranò Arencibia.



I murales di JR e il palazzo dei cavalieri a Pisa