La cellula connessa.

Ogni ordine è un atto di equilibrio di estrema precarietà. 
(Walter Benjamin)

Ad un tratto crolla ogni certezza, ogni semplice e banale rito della quotidianità. Quello che fino ieri chiamavamo “normalità” oggi perde significato scatenando un vortice di domande a cui non sappiamo dare risposta. Tutto è nuovo, imprevedibile e tremendamente angosciante perché fuori controllo. I dubbi e le domande ci assalgono: Cosa succede? Che ne sarà di noi? Cosa ci aspetta domani?

Tutto intorno a noi è in movimento e tutto si trasforma. L’ambiente in cui siamo abituati a vivere è precario, ha subito profondi cambiamenti in passato e farà lo stesso nel futuro, così come i nostri comportamenti e stili di vita, che diamo per scontati, non sono altro che il risultato di fattori socioculturali estremamente labili. Abbiamo preso coscienza che l’uomo non è al centro dell’universo ma una piccola parte di esso.

In questi giorni abbiamo avuto l’esempio di come i nostri equilibri possano essere messi facilmente in crisi e siamo stati costretti a rivedere ogni nostra abitudine tra cui il modo di utilizzare gli edifici e gli spazi aperti.

La quarantena ha portato le nostre abitazioni a trasformarsi in ambienti ibridi capaci di ospitare molteplici funzioni, le piazze si sono svuotate, gli spazi per eventi sono diventati ospedali e i musei hanno trasformato le visite in tour virtuali. Tutto questo ci ha fatto capire che le nostre esigenze possono cambiare in maniera repentina e che anche i nostri edifici devono essere in grado di trasformarsi con esse: Edifici resilienti in grado di adattarsi ai fattori variabili esterni e capaci di ospitare funzioni sempre diverse.

Partendo da una rilettura della casa telematica di Ugo La Pietra, presentata nella mostra “Italy: The New Domestic Landscape” del 1972, possiamo immaginare che gli edifici del futuro saranno cellule essenziali, modulari e tecnologicamente interconnesse, capaci di generare sistemi mutevoli in cui dimensioni e funzioni possano essere facilmente riconfigurabili.

Non avremmo più bisogno di grandi spazi con funzioni specifiche ma spazi minimi e ibridi da cui potremmo svolgere ogni tipo di funzione dal nostro letto tramite lo smart phone.

Questa sarà dunque la sfida a cui l’architettura sarà chiamata a dare risposta nell’immediato futuro e così gli architetti dovranno essere pronti a rispondere alle esigenze e ai bisogni di una società fluida e mutevole come quella verso cui andiamo incontro.


La casa telematica, Ugo La Pietra, presentata nella mostra “Italy: The New Domestic Landscape” del 1972, ©Archivio Ugo La Pietra