“Non chiamiamolo futuro.
Non chiamiamola resilienza.
Pensiamo, piuttosto, ad un domani prossimo dell’uomo.
E Adesso?
Ora che il mondo si è fermato?
Ora che le città sono vuote, il silenzio rimbomba, le fabbriche sono ferme, a cosa pensa l’architetto?
Se la relazione tempo-velocità da curva esponenziale riassumesse il suo naturale andamento lineare, si riscoprirebbe la lentezza e la ricercatezza del processo architettonico, un processo per assimilazione contro la produzione compulsiva, assistendo quindi ad un ritorno dell’homo pensatore, fucina di espressioni personali, in relazione allo spazio che lo circonda. Assisteremmo forse ad un‘inversione di tendenza, una riscoperta dei luoghi propri, in minore scala, più autoctoni e rispettosi dell’identità storica e sociologica del luogo?
Capiremmo davvero le città, stratificazione di funzioni e individui con necessità e desideri? Cambieranno davvero le necessità dell’uomo? E i confini dell’uomo cambieranno?
L’architetto capirà davvero la sua essenza di artigiano di spazi e con essa ridisegnare l’idea di città palinsesto di identità, che risponde alle domande del presente, senza pronostici o pianificazioni decennali su cosa sarà del futuro dell’uomo?
Riusciremo tutti a pensare a città come “insieme di tante cose: di memoria di desideri, di segni d’un linguaggio; le città” come “luoghi di scambio” intesi non “soltanto come scambi di merci” ma “scambi di parole, di desideri, di ricordi.”
Ci riusciremo?”



Scilla, Renato Guttuso, 1950


L'architettura surreale di Michiel Schrijver


Teatrino scientifico, Aldo Rossi, 1981