Come saprete non sono architetto, vivo 'a pelle' il mio senso dello spazio e dell’ambiente. Vi lascio perciò solo alcuni pensieri che credo nascano dall’amore per la mia professione, da letture occasionali e dalla forzata reclusione di questi giorni.


Il primo. L’ingombro delle parole inutili e dell’infelicità.
Mi sento a disagio aggiungere parole ai fiumi di riflessioni che vi sono già stati, vi saranno ancora a lungo durante l’affievolirsi delle onde della pandemia.
Il vuoto delle strade e delle piazze, la confusione attorno, il buio interiore che ci accompagna, ha reso il frastuono delle parole ancora più alto e assordante, più voluminoso.
L’angoscia sociale incombente si insinua riempiendo ogni interstizio libero da corpi. Questo è spazio fisico che ci è sottratto, senza che si possa incolpare nessuno se non l’incapacità nostra di produrre fiducia, positività.
Frutto di armonia interna e di relazione la serenità ha la capacità opposta di dilatare all’inverosimile l’ambiente attorno a noi.
A questo vorrei che tutti mirassimo, creare contesti potenzialmente sereni, prima di produrre qualsiasi parola o azione.


Il secondo. La relazione adeguata.
Credo sarebbe un bene per tutti noi che lavorassimo sulle relazioni di armonia. I nostri cinque sensi anelano a scovarle. Perciò è da tenere a mente la metafora data dalla regina danese, Margherita II di Danimarca, che pare abbia detto a proposito del virus: abbiamo a che fare con un "ospite pericoloso”.
È quindi qualcosa con cui siamo in relazione nonostante non lo aspettassimo.
È importante riflettere su ciò poiché in casa come in qualsiasi altro luogo pubblico, il virus diventa anche enormemente ingombrante per quanto sia piccolo, anzi microscopico. Lo è addirittura anche quando assente.
La relazione tra persone se ben costruita sa ‘isolare’ il virus spingendolo al di fuori dello spazio vissuto in comune, poiché, è risaputo, essa crea energia, salute e serenità. La relazione con i famigliari, le relazione con i vicini o gli amici, la relazione con il quartiere e la città.
Il volume al metro cubo in cui viviamo del c’è e non c’è, quello che 'ci avvicina tenendoci distanti' di cui abbiamo avuto un assaggio è una condizione obiettivamente difficile da vivere. È un ossimoro che non trova completezza di senso nel nostro istinto. L’unica salvezza è la serenità data dal collante della partecipazione attiva, cioè la relazione.
La relazione è quindi una responsabilità da acquisire, per il nostro bene. Non dipende solo da una reale presenza o dall’impedimento dato da una distanza fisica, è l’espressione di una volontà.


Il terzo. I contesti potrebbero essere sistemi.
Penso sia questa una responsabilità da riprendere sulle proprie spalle in un sistema ampio e adeguarla agli strumenti di oggi, con feedback continui.

Mi spiego: penso importante avere con lo spazio pubblico e privato di qualsiasi genere lo stesso tipo di approccio che si dovrebbe avere, con un esempio non casuale, con l'energia alternativa: creare sistemi democratici a ramificazione globale, non singole soluzioni a singoli problemi.
Nonostante sia una ovvietà che il computer portatile sia sì uno strumento potente di relazione, ricerca e comunicazione, poco ci si sofferma, e si fa, per evitare che sia anche una gabbia in cui si vive con la mente per trasposta azione.
Oggi lo sgradevole ed ingombrante ospite, il virus, ci ha fatto rendere conto di entrambi gli aspetti e il nostro vivere è diventato asfissiante.
Perciò urge metterci in una relazione ‘elastica' la parte e il tutto, l’ambiente privato e la struttura pubblica ed entrambe con l’ambiente naturale. ‘Abbellire’ il problema con soluzioni artificiose non è sciogliere il nodo del problema stesso. Per nostro beneficio penso fondamentale una inversione di ‘ottica’, che la Natura venga trattata con il rispetto che si deve a un essere vivente, qual’è. Da quale parte del cannocchiale abbiamo posato l’occhio? Non vorrei che si continuasse a sottometterla alle nostre frenesie produttive, ma tendere al contrario a inserirci nell’ambiente del pianeta per simbiosi e magari osmosi. Spero in una armonia prodotta così da uno spazio enormemente più ampio in cui vivere poiché non solo mentale, virtuale e effimero, ma anche composto dal suo contrario: di natura fisica, reale e permanentemente riscontrabile.


Il quarto. Il recupero del tempo e dello spazio.
Mi piace immaginare l’architettura come una utopia a cui tendere: un’opera musicale costruita in uno spazio fisico inter connesso, in armonia con tutte le note e le pause sullo ‘spartito’. Lavorerei sullo s p a z i o per offrire tranquillità, gioia, silenzio ricco di contenuti, creare il t e m p o di riflettere e ritrovare gli elementi armonici di cui siamo
composti. È auspicabile esercitarci a un respiro che peschi nel profondo e fresco di ognuno di noi. Se penso al futuro penso ad una sobrietà che includa ogni aspetto della vita.
Eviterei in questo momento storico tutto ciò che vive attorno al lusso, troppo poco rappresentativo della vita quotidiana per la maggioranza della popolazione del Pianeta.
Come lo stesso Armani riflette nell’ambito del prodotto, il vestiario “ Il declino del sistema moda, è iniziato quando il settore del lusso ha adottato le modalità operative del
fast fashion con il ciclo di consegna continua, nella speranza di vendere di più…” Noi potremmo sostituire in questa sua frase il termine ‘moda' con produzione artistica e
'fast fashion’ con 'facili giochi' o 'elementari pensieri’ di cui si fa forte il mercato dell’arte oggi. Armani continua scrivendo” Ho sempre creduto in una idea di eleganza senza tempo,
nella realizzazione di capi d’abbigliamento che suggeriscano un unico modo di acquistarli: che durino nel tempo.” Chiederei attenzione ai responsabili di ogni campo e di ogni iniziativa per ridurre al massimo, o meglio ai minimi utili termini, ogni aspetto del produrre: sobrietà e concretezza. Sobrietà è concretezza. Inizio a credere che l’arte del levare di mitica memoria sia un principio utile a tutti i campi, non esclusiva delle attività più creative!


Il quinto. Tendere è un percorso, perciò una parte della soluzione.
Quindi bando ai giochi estetici fine a se stessi spesso ripieni di ridondanti parole, più sensibili alle mode anziché alle necessità poetiche concrete dell'arte e dell’architettura.
Spererei che ogni produttore estetico, architetto o artista, uomo di cultura che sia, non aggiunga immagini e parole superflue.
Come artista visiva mi riprometto, ogni volta che mi pongo all’opera, l’obiettivo di ridurre tutto all’essenziale utile, affinché la mia comunicazione visiva avvenga nella maggiore
purezza e armonia possibile. Il suo contenuto immediatamente comprensibile, intenso, che non richieda parole anche quando e se accompagnato da testi.
Le parole sono estremamente pericolose, per questo vorrei condensare tutto il pensiero in una immagine pulita.. Per tendere a ciò è necessaria tanta ricerca; non c’è casualità se non nell’errore da cui si può apprendere. Per questo la ricerca è oggi un lusso a cui non rinunciare.
Vorrei che la parsimonia diventi il nostro modo di pensare e di esprimerci, sarebbe rivoluzionario e a misura d'uomo. Non risolviamo i problemi del mondo, partecipare consapevolmente è già sufficiente. Occorrono solo molti auguri e una ottima comunicazione.



'Terrombra’, Clementina Mingozzi, 2016

'L'Universo comprensibile’, Clementina Mingozzi, 1990